Tenere sotto controllo il colesterolo lipoproteico a bassa e ad alta densità: un’arma contro la demenza

L’aumento dei livelli di colesterolo lipoproteico a bassa densità (LDL-c) e la diminuzione dei livelli di colesterolo lipoproteico ad alta densità (HDL-c) sono importanti fattori di rischio rispettivamente per il carico di β-amiloide (Aβ) e malattia dei piccoli vasi cerebrali (CSVD). Questo è quanto riferisce uno studio pubblicato su Alzheimer’s Research & Therapy, e diretto da Sung Hoon Kang, della Sungkyunkwan University School of Medicine, Seoul, Corea.

“Il colesterolo svolge un ruolo importante nel metabolismo della β-amiloide e nell’aterosclerosi. Tuttavia, le relazioni tra i livelli di colesterolo plasmatico e il carico di Aβ e della malattia dei piccoli vasi cerebrali non sono completamente chiarite. Per questo, abbiamo studiato le relazioni tra i componenti del profilo del colesterolo plasmatico e gli oneri di Aβ e CSVD in un’ampia coorte coreana senza demenza”, affermano gli autori.

I ricercatori hanno arruolato 1.175 partecipanti che non presentavano demenza (456 con cognizione inalterata [CU] e 719 con declino cognitivo lieve [MCI]) di età ≥ 45 anni sottoposti a Aβ PET presso il loro centro. Hanno quindi eseguito analisi di regressione lineare con colesterolo lipoproteico a bassa densità, colesterolo lipoproteico ad alta densità e trigliceridi come predittori e assorbimento di Aβ sulla PET, volume dell’iperintensità della sostanza bianca(WMH) e volume dell’ippocampo come risultato dopo aver controllato per potenziali fattori confondenti.

page img tenere sotto controllo il colesterolo residuoL’aumento dei livelli di LDL-c era associato a un maggiore assorbimento di Aβ, indipendentemente dal genotipo dell’allele APOE e4 e dai farmaci ipolipemizzanti. Livelli ridotti di HDL-c erano predittivi di volumi di WMH più elevati. L’aumento dei livelli di LDL-c era anche associato a una diminuzione del volume dell’ippocampo, che era parzialmente mediato dall’assorbimento di Aβ.

“Considerando che i componenti del profilo plasmatico del colesterolo sono potenzialmente modificati dalla dieta, dall’esercizio fisico e dagli agenti farmacologici, i nostri risultati forniscono la prova che la regolazione dei livelli di LDL-c e HDL-c è una potenziale strategia per prevenire la demenza” concludono gli autori.

 

 

 

 

 

Fonte:

Alzheimers Res Ther. 2023 Nov 10;15(1):197. doi: 10.1186/s13195-023-01342-2.

 

IT-NON-2024-00319

Una dieta antinfiammatoria può ridurre il rischio di coronaropatia grave

Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Nutrition, esiste una relazione diretta e lineare tra una dieta antinfiammatoria e la diminuzione del rischio di coronaropatia grave. “Sono disponibili risultati limitati sulla relazione tra indice infiammatorio della dieta (DII) e malattia coronarica (CAD) grave. Considerando l’elevata prevalenza della CAD e delle sue complicanze, abbiamo voluto approfondire questa relazione” spiega Zahra Dadaei, della Isfahan University of Medical Sciences, Isfahan, Iran, primo nome dello studio.

I ricercatori hanno studiato 275 adulti sottoposti ad angiografia elettiva. La malattia coronarica grave è stata misurata mediante il sistema di punteggio Gensini, mentre il DII è stato misurato mediante un questionario sulla frequenza alimentare (FFQ) semiquantitativo validato, composto da 168 voci. Sono stati raccolti campioni di sangue dopo 12 ore di digiuno per misurare il profilo lipidico sierico e i livelli quantitativi di proteina C-reattiva (q-CRP).

page imageLe persone nell’ultimo terzile del DII avevano una maggiore probabilità di soffrire di malattia coronarica grave, ipercolesterolemia, ridotti livelli di colesterolo HDL e ipertensione, rispetto alle persone nel primo terzile. Dopo aver corretto per i fattori confondenti, la relazione è rimasta significativa. È stata osservata una relazione diretta e significativa tra DII e l’aumento dei livelli di q-CRP, che è scomparsa dopo l’aggiustamento per i fattori confondenti nel modello aggiustato. Pertanto, sembra necessario implementare programmi educativi a livello comunitario per promuovere un’alimentazione sana al fine di prevenire le CAD.

 

 

 

 

 

Fonte:

Front Nutr. 2023 Sep 29:10:1226380. doi: 10.3389/fnut.2023.1226380. eCollection 2023.

IT-NON-2024-00320

Colesterolo alto e malattia parodontale: esiste un’associazione

Secondo uno studio pubblicato su Cureus, esiste una debole associazione tra livelli di colesterolo alto e malattia parodontale. “Abbiamo voluto indagare l’associazione tra livelli elevati di colesterolo e la prevalenza della malattia parodontale tra i pazienti negli Stati Uniti, utilizzando i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) condotto tra il 2017 e il 2020. Siamo partiti ipotizzando che i pazienti con livelli elevati di colesterolo avessero un’alta prevalenza di malattia parodontale”, spiega Tooba Zahid Khan, del Lahore Medical College and Institute of Dentistry, Lahore, Pakistan, che ha guidato il gruppo di lavoro.

page colesterolo alto e malattia paradentale Lo studio ha incluso un totale di 7.042 partecipanti, con età media di 60,2 anni. Sul totale, il 23% (1.636) dei partecipanti aveva una malattia parodontale e il 52% (3.669) aveva livelli elevati di colesterolo. I risultati hanno indicato un’associazione significativa tra colesterolo alto e malattia parodontale. Fattori socioeconomici come povertà e istruzione e altri fattori come età, sesso, razza, fumo, attività fisica, indice di massa corporea, diabete, ipertensione, assunzione di zucchero, assunzione di colesterolo, assunzione di acidi grassi saturi e igiene orale sono stati identificati come potenziali fattori confondenti. Dopo aver aggiustato i dati per i fattori confondenti rilevanti, gli esperti hanno trovato una debole associazione positiva tra colesterolo alto e malattia parodontale.

“Sebbene questi risultati forniscano preziose informazioni sull’interazione tra salute sistemica e salute orale, la natura trasversale dello studio limita la definizione di causalità”, concludono gli autori.

 

 

 

 

Fonte:

Cureus. 2023 Aug 14;15(8):e43463. doi: 10.7759/cureus.43463. eCollection 2023 Aug.

IT-NON-2024-00322

Una pressione troppo bassa o troppo elevata è dannosa nei pazienti ipertesi in emodialisi

Nei pazienti ipertesi in emodialisi, sarebbe bene evitare una pressione arteriosa estremamente bassa (<120 mmHg) o un’ipertensione non controllata (≥160 mmHg) per ottimizzare la sopravvivenza, secondo uno studio pubblicato su Kidney Research and Clinical Practice. “L’ipertensione è un importante fattore di rischio cardiovascolare nei pazienti in emodialisi. Noi abbiamo identificato il target ottimale della pressione arteriosa (BP) in pazienti coreani in emodialisi utilizzando il set di dati del Korea Renal Dialysis System (KORDS) della Società coreana di nefrologia e un’analisi combinata di studi precedenti”, spiega Ji Eun Kim, del Korea University Guro Hospital, e del Korea University College of Medicine, Seoul, Repubblica di Corea, che ha diretto il gruppo di lavoro.

I ricercatori hanno classificato i pazienti in emodialisi in base alla pressione sistolica (PAS) e diastolica (PAD) a intervalli di 20 e 10 mmHg. Come esito primario e secondario, sono state valutate la mortalità per tutte le cause e la mortalità cardiovascolare. Successivamente è stata effettuata un’analisi aggregata della letteratura precedente.

img

Su 70.607 pazienti, 13.708 (19,4%) sono morti in 2.426 giorni. La pressione sistolica e la pressione diastolica media erano 143,0 e 78,5 mmHg. Nella regressione di Cox multivariata, i pazienti con pressione sistolica <120 e ≥180 mmHg hanno mostrato un rischio di mortalità per tutte le cause aumentato di 1,10 e 1,12 volte rispetto ai pazienti con pressione sistolica di 120-140 mmHg. Nell’analisi dei sottogruppi, i pazienti di età <70 anni e senza diabete hanno mostrato un’associazione SBP-mortalità a forma di U. La mortalità cardiovascolare è risultata aumentata con una pressione sistolica ≥ 160 mmHg rispetto a 120-140 mmHg, ma non inferiore a 120 mmHg. L’analisi combinata con studi precedenti ha mostrato per lo più un rischio elevato nella pressione sistolica <120 mmHg, ma i rischi con valori pressori nelle fasce 140-160 e 160-180 mmHg non erano coerenti.

“Sarebbe bene approfondire l’analisi per i pazienti con pressione sistolica compresa tra 120 e 160 mmHg. Dovrebbero inoltre essere prese in considerazione anche raccomandazioni personalizzate riguardanti i fattori di rischio del paziente” concludono gli autori.

 

 

 

Fonte:

Kidney Res Clin Pract. 2023 Nov 1. doi: 10.23876/j.krcp.22.241. Online ahead of print.

 

IT-NON-2024-00324

Ipertensione cronica in gravidanza e rischio cardiovascolare aumentato nel post-partum

Secondo uno studio pubblicato su Obstetrics and Gynecology, è presente un aumento del rischio cardiovascolare già a un mese dal parto nelle donne che hanno sofferto di ipertensione cronica in gravidanza, e questo fatto sottolinea la necessità di un attento monitoraggio e di cure tempestive dopo il parto per ridurre la pressione sanguigna e le complicanze correlate. “La preeclampsia è un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD) nel corso della vita. Tuttavia, rimane poco chiaro se l’esposizione all’ipertensione cronica in gravidanza, in assenza di preeclampsia, sia implicata nel rischio di malattie cardiovascolari durante l’immediato periodo postpartum”, afferma Emily Rosenfeld, della Rutgers School of Public Health, Piscataway, New Jersey, USA, autrice principale dello studio.

imgI ricercatori hanno voluto stimare il rischio di riammissione in ospedale per complicanze CVD entro l’anno solare successivo al parto per le persone con ipertensione cronica, utilizzando il database nazionale di riammissione in ospedale del progetto Healthcare Cost and Utilization (2010-2018) per portare avanti uno studio di coorte retrospettivo su pazienti di età compresa tra 15 e 54 anni. I codici della Classificazione Internazionale delle Malattie sono stati utilizzati per identificare i pazienti con ipertensione cronica e riammissione postpartum per complicanze CVD entro un anno dal parto. Sono state escluse le persone con diagnosi di CVD durante la gravidanza, parti multipli o preeclampsia o eclampsia. Sono stati stimati i tassi in eccesso di riammissione per CVD tra le pazienti con e senza ipertensione cronica. Le associazioni tra ipertensione cronica e complicanze CVD sono state determinate mediante modelli di regressione dei rischi proporzionali di Cox.

Su 27.395.346 ricoveri per parti singoli, il 2,0% dei soggetti presentava ipertensione cronica (n=544.639). Il tasso di ospedalizzazione per CVD nelle pazienti con ipertensione cronica e nelle pazienti normotese è stato di 645 (n=3.791) per 100.000 ricoveri da parto e 136 (n=37.664) per 100.000 ricoveri da parto. Il rischio di riammissione per CVD, in relazione all’ipertensione cronica, persisteva per un anno dopo il parto.

 

Fonte:

Obstet Gynecol. 2023 Nov 2. doi: 10.1097/AOG.0000000000005424. Online ahead of print.

 

IT-NON-2024-00325

Ipertensione: il Tai Chi può avere effetti positivi

Secondo uno studio pubblicato sull’International Journal of Nursing Practice, il Tai Chi può essere un valido intervento sullo stile di vita per la gestione dell’ipertensione. “Il Tai Chi è stato ampiamente utilizzato nella prevenzione dell’ipertensione essenziale. Tuttavia, vi è una mancanza di consenso riguardo ai suoi benefici nel trattamento dell’ipertensione essenziale. Noi abbiamo mirato a valutare l’impatto degli interventi che includevano la pratica del Tai Chi su individui con ipertensione essenziale, e gli effetti del Tai Chi rispetto ai controlli in questa popolazione”, afferma Pengchao Zhang, del Chongqing Metropolitan College of Science and Technology, Chongqing, Cina, che ha diretto lo studio.

page img Ipertensione: il Tai Chi può avere effetti positiviI ricercatori hanno portato avanti una revisione sistematica e una metanalisi utilizzando i database Medline, Scholar, Elsevier, Wiley Online Library, Chinese Academic Journal (CNKI) e Wanfang da gennaio 2003 ad agosto 2023. Gli esiti primari misurati includevano la pressione sanguigna e i livelli di ossido nitrico.

I partecipanti erano adulti con un’età media di 57,1 anni che soffrivano di ipertensione. Gli esperti hanno visto che gli individui che praticavano il Tai Chi hanno sperimentato una riduzione della pressione sanguigna sistolica di 10,6 mmHg, della pressione sanguigna diastolica di 4,7 mmHg e un aumento dei livelli di ossido nitrico, che contribuisce all’abbassamento della pressione. “Una maggiore promozione del Tai Chi da parte dei professionisti medici potrebbe estendere questi benefici a una popolazione di pazienti più ampia” concludono gli autori.

 

 

 

 

 

Fonte:

Int J Nurs Pract. 2023 Oct 5:e13211. doi: 10.1111/ijn.13211. Online ahead of print.

IT-NON-2024-00351

Ipertensione e squilibri del microbioma intestinale

Le prove disponibili suggeriscono che i pazienti ipertesi possono avere uno squilibrio del microbioma intestinale, secondo una revisione della letteratura pubblicata sul Journal of Clinical Hypertension. “L’ipertensione è un grave problema di salute pubblica in tutto il mondo. Si ritiene che lo squilibrio del microbioma intestinale svolga un ruolo importante nella patogenesi dell’ipertensione. Abbiamo condotto una revisione sistematica e una metanalisi per chiarire la relazione tra microbiota intestinale e ipertensione conducendo una ricerca elettronica in sei database, utilizzando indici di diversità microbica intestinale quali gli indici di Shannon, Simpson, ACE e Chao1” afferma Meiling Cai, del Fujian Medical University Union Hospital, Fuzhou, Cina, primo nome dello studio.

La metanalisi ha incluso 19 studi e i risultati hanno mostrato che, rispetto ai controlli sani, l’indice di Shannon ha ridotto significativamente l’ipertensione; tuttavia, gli indici di Simpson, ACE e Chao1 non differivano significativamente tra ipertensione e controlli sani.

page img ipertensione e squilibri del microbioma intestinaleIl rapporto tra Firmicutes e Bacteroidetes era significativamente aumentato nell’ipertensione. Inoltre, l’indice di Shannon era correlato negativamente con l’ipertensione, ma non aveva alcuna correlazione significativa con la pressione sistolica e diastolica. A livello di phylum, l’abbondanza relativa di FirmicutesBacteroidetes, proteobatteri e attinobatteri non differiva significativamente tra ipertensione e controlli sani. A livello di genere, rispetto ai controlli sani, con l’ipertensione l’abbondanza relativa di Faecalibacterium diminuiva significativamente, mentre Streptococcus ed Enterococcus aumentavano significativamente.

“Quanto da noi riscontrato necessita ancora di ulteriore convalida da parte di studi su campioni di grandi dimensioni e di alta qualità” concludono gli autori.

 

 

 

 

Fonte:

J Clin Hypertens (Greenwich). 2023 Oct 18. doi: 10.1111/jch.14722. Online ahead of print.

 

IT-NON-2024-00357

Il colesterolo residuo si conferma strettamente legato all’infiammazione

Uno studio pubblicato su Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases conferma ulteriormente la stretta relazione tra infiammazione e colesterolo residuo. “Il colesterolo residuo (RC) ha recentemente guadagnato crescente attenzione a causa della sua associazione con eventi cardiovascolari avversi. Tuttavia, la relazione tra i livelli di RC e l’infiammazione rimane poco chiara. Per questo, abbiamo voluto indagare e confrontare il valore predittivo di più biomarcatori infiammatori per un RC elevato in pazienti sottoposti a intervento coronarico percutaneo (PCI)” afferma Jiawen Li, del Fu Wai Hospital, National Center for Cardiovascular Diseases, Chinese Academy of Medical Sciences and Peking Union Medical College, Pechino, Cina, primo nome del lavoro.

I ricercatori hanno inizialmente arruolato 10.724 individui ricoverati per sottoporsi a PCI presso l’ospedale Fu Wai nel 2013. In seguito, hanno selezionato per l’analisi 9.983 pazienti gestiti con doppia terapia antipiastrinica e stent a rilascio di farmaco. I biomarcatori infiammatori considerati includevano proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP), rapporto hs-CRP/albumina (CAR), rapporto neutrofili/linfociti (NLR), rapporto piastrine/linfociti (PLR), rapporto linfociti/monociti (LMR), rapporto linfociti/hs-CRP (LCR) e indice di immunoinfiammazione sistemica (SII). I pazienti sono stati divisi in gruppi con RC elevato e gruppi con RC basso in base al livello RC mediano.

page img colesterolo residuo e infiammazioneL’analisi dei dati ha mostrato che hs-CRP, CAR, PLR e SII erano associati a un RC elevato (≥ mediana), mentre l’LCR era associato a un basso RC (<mediana). Tuttavia, NLR e LMR non erano associati ai livelli RC. Dopo aver confrontato questi biomarcatori infiammatori, hs-CRP ha dimostrato la più alta capacità predittiva per un RC elevato.

“Nei pazienti sottoposti a PCI, hs-CRP, CAR, PLR, LCR e SII erano indipendentemente associati ai livelli di RC. Tra questi biomarcatori infiammatori, hs-CRP ha conferito una migliore previsione per un RC elevato” concludono gli autori.

 

 

 

 

 

Fonte:

Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2023 Sep 11:S0939-4753(23)00349-6. doi: 10.1016/j.numecd.2023.09.006. Online ahead of print.

 

IT-NON-2024-00318

L’intelligenza artificiale può aiutare nel trattamento personalizzato dell’ipertensione

Secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports, un modello di intelligenza artificiale è in grado di prevedere l’importanza di alcuni fattori negli esiti dell’ipertensione del singolo paziente, permettendo un intervento personalizzato. “Dato che l’ipertensione è un importante fattore di rischio per molte malattie cardiovascolari, essa richiede metodi convenienti e affidabili per la prevenzione e l’intervento. Noi abbiamo progettato un sistema di previsione del rischio di visualizzazione basato su Machine Learning e un algoritmo SHAP per le intelligenze artificiali spiegabili, un approccio basato sulla teoria dei giochi, che permette di spiegare quanto un certo valore incide sull’output del modello come strumento ausiliario per la gestione sanitaria personalizzata dell’ipertensione”, afferma Jinsong Du, della Hangzhou Normal University, e dell’Affiliated Hospital of Hangzhou Normal University, Hangzhou, Cina, primo nome dello studio.

I ricercatori hanno utilizzato dieci algoritmi di machine learning noti come “foreste casuali” e 1.617 dati di controllo sanitario anonimi per creare dieci modelli di previsione del rischio di ipertensione. Le prestazioni dei modelli sono state valutate attraverso indicatori quali accuratezza, punteggio F1 e curva ROC. Gli esperti hanno poi utilizzato il modello più performante combinato con l’algoritmo SHAP per l’analisi dell’importanza delle funzionalità e hanno creato un sistema di previsione del rischio di visualizzazione sulla pagina web.

page img intelligenza artificiale in trattamento ipertensioneIl modello LightGMB ha mostrato le migliori prestazioni predittive e l’età, la fosfatasi alcalina e i trigliceridi sono state in tale modello caratteristiche importanti per prevedere il rischio di ipertensione.

“Gli utenti potranno ottenere la loro probabilità di rischio di ipertensione e determinare il focus dell’intervento necessario attraverso il sistema di visualizzazione integrato nella pagina web. La nostra ricerca aiuterà medici e pazienti a sviluppare programmi personalizzati di prevenzione e intervento per l’ipertensione basati su dati di controlli sanitari, che hanno un significato clinico e di salute pubblica” concludono gli autori.

 

 

 

 

 

Fonte:

Sci Rep. 2023 Nov 2;13(1):18953. doi: 10.1038/s41598-023-46281-y.

 

IT-NON-2024-00356

I maschi con genitori ipertesi hanno un rischio aumentato di sviluppare ipertensione

I figli maschi normotesi di genitori ipertesi mostrano funzioni autonomiche compromesse, con un aumento del rischio di sviluppare l’ipertensione più avanti nella vita, secondo uno studio pubblicato su Cureus. “I figli di individui ipertesi hanno una maggiore propensione a sviluppare ipertensione, in un’età molto precedente a quella dei loro genitori. È necessario comprendere la fisiopatologia della malattia in individui così giovani, in particolare la sensibilità baroriflessa (BRS)”, spiega Charu Bansal, del Jawaharlal Institute of Postgraduate Medical Education and Research, Puducherry, India, primo nome dello studio.

La ridotta variabilità della frequenza cardiaca (HRV), la resistenza all’insulina (IR), la dislipidemia e la diminuzione delle adipochine vasodilatatrici, vale a dire apelina e relaxina, nei soggetti normotesi, possono predisporre all’insorgenza di ipertensione. Pertanto, i ricercatori hanno confrontato le funzioni autonomiche, i marcatori vascolari e i profili metabolici tra 40 maschi normotesi con genitori ipertesi e 40 individui corrispondenti per età e indice di massa corporea (IMC) con genitori non ipertesi. Sono state valutate le funzioni autonomiche cardiovascolari, tra cui BRS, HRV, risposta della pressione arteriosa diastolica al test isometrico della presa della mano (ΔDBPIHG), coefficiente di Valsalva e marcatori metabolici e vascolari.

page img i maschi con genitori ipoertesiIl gruppo con genitori ipertesi ha mostrato un rapporto BRS, HRV e coefficiente di Valsalva ridotto e un ΔDBPIHG più elevato rispetto ai controlli, a indicare funzioni autonomiche compromesse. Il gruppo di studio aveva livelli di IR e trigliceridi più elevati e valori ridotti di apelina e relaxina. La BRS ha mostrato correlazioni significative con HRV, coefficiente di Valsalva, ΔDBPIHG e marcatori metabolici e vascolari.

Questi risultati indicano che è giustificata l’identificazione precoce del potenziale ipertensivo in questa popolazione ad alto rischio, il che consentirebbe di adottare le necessarie misure preventive.

 

 

 

 

 

Fonte:

Cureus. 2023 Sep 4;15(9):e44636. doi: 10.7759/cureus.44636. eCollection 2023 Sep.

 

IT-NON-2024-00358

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Tenere sotto controllo il colesterolo lipoproteico a bassa e ad alta densità: un’arma contro la demenza

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